Abbiamo visto che in base alla legge di Ohm risulta: R = V / I . Ma come si misura effettivamente la resistenza di un elemento circuitale?
Consideriamo il caso di un circuito come quello di figura 2.42a, in cui vogliamo misurare la resistenza R. La misura può essere semplicemente eseguita con una inserzione di amperometro e voltmetro nel circuito come in figura 2.42b (inserzione a monte, così detta perché il voltmetro è a monte dell'amperometro) ed effettuando il rapporto tra il valore della tensione e quello della corrente:
Rm = Vm / Im
La misura risulta ovviamente approssimata, in quanto gli strumenti non possiedono caratteristiche ideali: il voltmetro avrà una resistenza rv che non sarà mai infinita e l'amperometro una resistenza ra che non sarà mai nulla. Pertanto, il circuito effettivo sarà quello di figura 2.42c (la resistenza interna del voltmetro non è indicata giacché non è influente sulla misura, in questo caso), per cui noi misuriamo anche la resistenza dell'amperometro, cioè:
Rm = ra + R
a) |
inserzione a monte b) |
c) |
|
Figura 2.42 a) circuito semplice b) inserzione a monte ideale; c) inserzione a monte reale |
L'errore commesso in percentuale è:
ε = (Rm - R) / R × 100 = (ra / R) × 100 (F2.29)
ed è sempre positivo.
La formula 2.29 indica che se la resistenza da misurare è piccola, e quindi paragonabile alla resistenza dell'amperometro, l'errore diventa molto grande. In tal caso, è da preferire l'inserzione di figura 2.43 (detta inserzione a valle in quanto il voltmetro è a valle dell'amperometro): tuttavia la corrente I che si misura comprende anche la corrente che attraversa il voltmetro, il quale, non essendo ideale, contribuisce con la propria resistenza rv.
Figura 2.43 Inserzione a valle
Pertanto, la resistenza misurata è:
Rm = V / I = V / (V / R + V / rV) = RrV / (R + rV) = R || rV
che differisce dalla resistenza che si deve misurare, giacché risulta equivalente al parallelo tra la resistenza da misurare R e la resistenza del voltmetro rV . L'errore che si commette in questo caso risulta sempre negativo e pari a:
ε = (Rm - R) / R × 100 = - (R / (R + rV)) × 100 (F2.30)
Si nota così che l'errore è tanto più piccolo quanto più rv >> R. Quindi, per misurare una resistenza piccola si usa un'inserzione a valle, per misurare una resistenza grande, si usa una inserzione a monte.
Con lo schema di figura 2.43 restano ancora comprese nella misura le resistenze che inevitabilmente si realizzano nel collegamento della resistenza da misurare al circuito, resistenze molto variabili in funzione del modo con il quale si realizzano i contatti tra i dispositivi, dell'ordine tra il decimillesimo ed il decimo di ohm. E' chiaro, quindi, che se la R da misurare è dello stesso ordine di grandezza, l'errore che si può commettere è molto grande.
Nel caso, perciò, che le resistenze di contatto siano dello stesso ordine di grandezza della resistenza da misurare, o che si voglia misurare la resistività di un nuovo materiale, per evitare i problemi ai morsetti si usa la cosiddetta misura a 4 punte: il campione viene collegato con due punte al circuito che adduce la corrente I e con altre due ad un voltmetro (normalmente un millivoltmetro): in questo modo è possibile misurare la differenza di potenziale conseguente alla sola resistenza del materiale (resistenze di contatto escluse).
Figura 2.44 Misura a 4 punte
La figura 2.44 chiarisce il concetto: volendo, ad esempio, misurare la resistenza di una sbarra di materiale conduttore di sezione trasversale S, la tensione viene misurata in un tratto definito, senza comprendere le resistenze dei contatti A e B realizzati per addurre la corrente I. I contatti realizzati nei punti A' e B' (distanti L tra loro) per la misura di tensione non alterano la misura, in quanto le loro resistenze vengono a risultare in serie con quella del voltmetro che, per quanto detto, è sempre molto elevata. La misura della resistività dipende dalla precisione con cui misuriamo L ed S:
ρ = Rm × S / L
Per misure di resistenze di valore compreso tra l'ohm e qualche centinaio di Kiloohm, oltre al metodo di inserzione si può usare il metodo (più preciso) di ponte di Wheatstone che abbiamo già visto in precedenza: aggiungiamo qui solo che, per trovare la resistenza incognita Rx, tra i morsetti a e b del circuito a) di figura 2.35 si inserisce un voltmetro per misurare la tensione vab.
L'obiettivo di questa lezione è di dare ora qualche nozione basilare sui dispositivi reali per la misura di parametri elettrici. Molto spesso, le misure di interesse sono quelle di corrente, tensione, potenza e resistenza. In analogia con i modelli appena sviluppati nella lezione precedente per descrivere il comportamento non ideale dei generatori di tensione e di corrente, presentiamo dei modelli circuitali di alcuni strumenti di misura pratici, adatti a descrivere le proprietà non ideali di questi dispositivi.
L'amperometro è uno strumento che, quando è connesso in serie con un elementi circuitale, è in grado di misurare la corrente che passa attraverso tale elemento. La figura 2.39 illustra questa idea. Da tale figura si deduce che sono necessarie due condizioni per ottenere una misura corretta della corrente:
a) |
b) |
c) |
Figura 2.39 a) simbolo dell'aperometro ideale; b) circuito in serie; c) circuito per la misura della corrente i |
Il voltmetro è un dispositivo in grado di misurare la tensione ai capi di un elemento circuitale. Poiché la tensione è la differenza di potenziale tra due punti nel circuito, il voltmetro deve essere collegato ai capi dell'elemento di cui vogliamo misurare la tensione. In particolare, il voltmetro deve essere collegato in parallelo con l'elemento ai cui capi vogliamo misurare la tensione; inoltre, il voltmetro non deve sottrarre corrente all'elemento ai cui capi stiamo misurando la tensione, altrimenti noi non misuriamo l'effettiva tensione ai capi dell'elemento. Perciò, un voltmetro ideale ha una resistenza interna infinita. La figura 2.40 illustra quanto detto.
a) |
b) |
c) |
Figura 2.40 a) simbolo del voltmetro ideale; b) circuito in serie; c) circuito per la misura della tensione v2 |
Ancora una volta, le definizioni appena enunciate per il voltmetro e l'amperometro ideali devono essere riviste alla luce delle limitazioni pratiche dei dispositivi. Un amperometro reale avrà sempre una resistenza interna che contribuirà, come resistenza in serie, alla resistenza del circuito di cui si va a misurare la corrente; un voltmetro reale non si comporterà mai come un circuito aperto, ma sottrarrà sempre una parte di corrente al circuito su cui operiamo la misura.
Ciò non significa che queste limitazioni pratiche pongono un limite all'accuratezza delle misure ottenibili con i dispositivi reali di misura: l'importante è conoscere la resistenza interna dei dispositivi di misura. La figura 2.41 mostra i modelli circuitali per l'amperometro ed il voltmetro reali.
a) |
b) |
Figura 2.41 a) amperometro reale; b) voltmetro reale |
L'obiettivo di questa lezione consiste nell'estendere i modelli ideali di generatore (visti nella Lezione 2.3) in modo da poter descrivere le limitazioni fisiche dei generatori di tensione e corrente usati nella pratica. Consideriamo, per esempio, il modello di un generatore ideale di tensione (Cfr. figura 2.7). Allorquando la resistenza di carico R diminuisce, il generatore deve fornire una quantità sempre maggiore di corrente per mantenere la tensione vs(t) ai capi del resistore, essendo:
is(t) = vs(t) / R
Questo fatto suggerisce che al limite, se la resistenza di carico tende al valore zero, il generatore ideale di tensione deve fornire una quantità infinita di corrente al carico. Si può vedere chiaramente che questo è impossibile: per esempio, si pensi ai parametri di una batteria convenzionale di un'automobile: 12 V, 450 Ah (amperora): tale batteria può fornire una tensione di 12 V ed una corrente di 450 A per la durata di un'ora (in realtà, così facciamo già l'ipotesi implicita di una batteria ideale, giacché nella realtà dopo un'ora la tensione ai morsetti di una batteria reale non è più di 12 V !!).
Vi è dunque un limite (per quanto grande esso possa essere) alla quantità di corrente che un generatore reale può fornire al carico. Fortunatamente, non è necessario addentrarsi troppo a fondo nella natura fisica di ciascun tipo di generatore per descrivere il comportamento di un generatore reale di corrente; le limitazioni di un generatore reale possono essere approssimate abbastanza semplicemente tramite la nozione di resistenza interna di un generatore.
Generatore reale di tensione |
Generatore reale di tensione |
a) | b) |
c) |
|
Figura 2.37 Modellizzazione del generatore reale di tensione e caratteristica I-V |
Benché i modelli descritti in questa lezione siano solo approssimazioni del comportamento effettivo dei generatori di energia, tuttavia costituiscono una buona approssimazione delle limitazioni dei generatori reali di corrente e tensione. La figura 2.37a mostra un modello di generatore reale di tensione; questo è composto di un generatore ideale di tensione, vs, in serie con una resistenza, rs (che rappresenta la resistenza interna al generatore reale). La resistenza rs pone in effetti un limite alla massima corrente che il generatore di tensione può fornire:
ismax = vs / Rs (F2.25)
Tipicamente, rs è piccola. Si noti, tuttavia, che la sua presenza si fa sentire sulla tensione ai capi della resistenza di carico: infatti, questa tensione non è più uguale alla tensione del generatore. Poiché la corrente fornita dal generatore è:
is = vs / (rs + RL) (F2.26)
la tensione ai capi del carico RL risulta essere:
vL = isRL = vsRL / (rs + RL) (F2.27)
Così, al limite in cui la resistenza interna rs tende a zero, la tensione ai capi del carico (e dunque del generatore reale) diviene esattamente uguale alla tensione ai capi del generatore ideale. A sua volta, la relazione 2.26 ci dice che se la resistenza del carico RL si annulla (cioè abbiamo un corto circuito, come in figura 2.37b), otteniamo il valore della massima corrente che può essere fornita dal generatore reale di tensione (equazione 2.25). La caratteristica i-v di un generatore reale di tensione (rappresentata in figura 2.37c) si ricava applicando la legge di Kirchhoff delle tensioni al circuito di figura 2.37a; si ottiene:
vL = vs - Rsis
Da quanto detto dovrebbe risultare chiaro che una caratteristica desiderabile di un generatore reale di tensione è una resistenza interna molto piccola, in modo da poter soddisfare la richiesta di corrente di un carico arbitrario. Spesso, l'effettiva resistenza interna di un generatore di tensione è citata nelle specifiche tecniche del generatore, così che l'utente possa tenerne conto.
Un'analoga modifica al modello del generatore ideale di corrente è utile per descrivere il comportamento di un generatore reale di corrente. Il circuito illustrato in figura 2.38a mostra una semplice rappresentazione di un generatore reale di corrente, consistente in un generatore ideale di corrente, is, in parallelo con un resistore rs (che rappresenta la resistenza interna al generatore stesso).
Generatore reale di corrente |
Generatore reale di corrente |
a) | b) |
c) |
|
Figura 2.38 Modellizzazione del generatore reale di corrente e caratteristica I-V |
Si noti che se la resistenza di carico va all'infinito (cioè si ha un circuito aperto, figura 2.38b), la tensione in uscita del generatore reale di corrente va al limite:
vsmax = isRs (F2.28)
che è la tensione massima prodotta da un generatore reale di corrente. La caratteristica i-v di un generatore reale di corrente (rappresentata in figura 2.38c) si ricava applicando la legge di Kirchhoff delle correnti ad uno dei due nodi del circuito di figura 2.38a; quindi si ricava:
i = is - Gsvs
dove G è la conduttanza (cfr. Lezione 2.6). Un buon generatore di corrente dovrebbe essere in grado di approssimare il comportamento di un generatore ideale di corrente. Pertanto, una caratteristica desiderabile per il generatore di corrente è che la resistenza interna sia più grande possibile.
Il ponte di Wheatstone è una interessante applicazione pratica di quanto fin qui studiato, in particolare per quanto riguarda la regola di partizione delle tensioni.
Si tratta nella fattispecie di un circuito ad elementi resistivi che si incontra frequentemente in una varietà di circuiti di misura. La forma generale del circuito a ponte è mostrata in fig. 2.35(a), dove R1, R2 ed R3 sono noti mentre la resistenza Rx è sconosciuta, e deve essere determinata.
Il circuito può anche essere ridisegnato come mostrato in fig. 2.35(b). Il secondo circuito sarà usato per mostrare l'uso della regola di partizione delle tensioni in un circuito misto serie-parallelo. L'obiettivo è determinare la resistenza incognita Rx .
a) |
b) |
Figura 2.35 |
Per ottenere l'obiettivo, per prima cosa osserviamo che il circuito consiste della combinazione in parallelo di tre subcircuiti: il generatore di tensione, la combinazione in serie di R1 ed R2, e la combinazione in serie di R3 e Rx. Essendo i tre subcircuiti in parallelo, agli estremi di ciascuno di loro si avrà la stessa differenza di potenziale, che è la tensione del generatore, vs. Pertanto, la tensione del generatore si suddivide all'interno di ciascuna coppia di resistori, (R1, R2) e (R3, Rx) secondo la regola di partizione delle tensioni: va è la tensione che si misura ai capi di R2, mentre vb è la tensione che si misura ai capi di Rx :
va = vs × R1 / (R1 + R2) e vb = vs × Rx / (R3 + Rx)
Infine, la differenza di tensione tra i punti a e b è data da:
vab = va - vb = vs × (R1 / (R1 + R2) - Rx / (R3 + Rx))
Osserviamo ora che, facendo variare la resistenza R1 (ad esempio) in modo che va = vb, cioè vab = 0, si ha:
Rx = (R2 × R3) / R1
ed è perciò possibile usare, in generale, il ponte di Wheatstone per la misura di una resistenza incognita Rx, note le altre tre resistenze.
Gli strain gauge, che sono stati introdotti nella Lezione 2.6, sono frequentemente impiegati nelle misure di forza. Una delle più semplici applicazioni degli strain gauges consiste nella misura della forza applicata ad una trave a sbalzo, come illustrato in figura 2.36.
Figura 2.36 Ponte di Wheatstone applicato agli strain gauges |
In questo caso sono impiegati quattro strain gauges, di cui due sono attaccati alla superficie superiore della trave, ad una distanza L dal punto dove la forza esterna, F, è applicata; gli altri due sono attaccati alla superficie inferiore della trave ed anch'essi sono a distanza L.
All'applicazione della forza esterna, la trave si deforma, facendo allungare gli strain gauges superiori ed accorciare (comprimendoli) quelli inferiori. Perciò, la resistenza degli strain gauges superiori aumenterà di una quantità ΔR, mentre quella degli strain gauges inferiori diminuirà di una pari quantità, assumendo che essi siano posti in maniera simmetrica.
Se R1 ed R4 si riferiscono agli strain gauges superiori, ed R2 ed R3 a quelli inferiori, all'applicazione della forza esterna, abbiamo:
R1 = R4 = R0 + ΔR
R2 = R3 = R0 - ΔR
dove R0 è la resistenza in assenza di deformazione. Si può ricavare dalla statica elementare che la relazione tra lo sforzo ε e la forza F applicata ad una distanza L per una trave a sbalzo è:
ε = 6LF / (wh2Y)
dove h e w sono rispettivamente l'altezza e la base della sezione della trave (vedi figura 2.36), ed Y è il modulo di elasticità (o modulo di Young) della trave. Nel circuito di figura 2.36, le correnti ia ed ib sono date da:
ia = vs / (R1 +R2) ib = vs / (R3 +R4)
La tensione in uscita del ponte è definita come v0 = vb - va e la si può ricavare dalla seguente espressione:
dove l'espressione per ΔR/R0 è stata ricavata nella Lezione 2.6. Perciò, è possibile ottenere una relazione tra la tensione in uscita del circuito a ponte e la forza F:
v0 = vsGε = vsG(6LF) / (wh2Y) = kF
ove k è la costante di calibrazione per questo trasduttore di forza (si vede come la tensione v0 è proporzionale alla forza applicata).
I ponti di Wheatstone con strain gauge sono la base per molti strumenti di misura di sforzi, deformazioni, forze, torsioni, pressioni e quantità correlate. Ad esempio, per misure di variazioni di pressione (sensori di pressione), si usano 4 strain gauges messi a croce su una membrana particolare (sono diffusi nei motori controllati e nei dispositivi airbag).
Come anticipato nella Lezione precedente, benché i circuiti elettrici possano assumere forme molto complicate, perfino i circuiti più complessi possono essere ridotti a combinazione di elementi circuitali in parallelo ed in serie.
L'obiettivo di questa lezione è di illustrare il caso di resistori in parallelo, sviluppando un concetto analogo a quanto visto per le tensioni, ovvero il partitore di corrente, applicando la legge di Kirchhoff delle correnti ad un circuito contenente solo resistori in parallelo. Vale la seguente definizione:
Due o più elementi circuitali si dicono in parallelo se ai capi di ciascun elemento si ha la stessa tensione (ovvero differenza di potenziale).
a) La tensione v è la stessa ai capi di ciascun elemento in parallelo; in base alla legge di Kirchhoff delle correnti, si ha: is = i1 + i2 + i3
b) N resistori in parallelo sono equivalenti ad un singolo resistore equivalente con resistenza pari al reciprocodella somma dei reciproci delle singole resistenze.
Figura 2.31 Resistenze in parallelo
La fig. 2.31 illustra la nozione di resistori in parallelo collegati ad un generatore ideale di corrente. La legge di Kirchhoff delle correnti richiede che la somma delle correnti ad esempio nel nodo superiore sia zero:
is = i1 + i2 + i3
In virtù della legge di Ohm, possiamo esprimere ogni corrente come segue:
i1 = v / R1 i2 = v / R2 i3 = v / R3
poiché, per definizione, ai capi di ciascun elemento misuriamo la stessa differenza di potenziale v; applicando la legge di Kirchhoff delle correnti, si può dunque riscrivere come segue:
is = v( 1 / R1 + 1 / R2 + 1 / R3)
Notiamo a questo punto piuttosto facilmente che questa equazione può essere anche scritta in termini di una singola resistenza equivalente:
is = v( 1 / REQ)
dove:
1 / REQ = ( 1 / R1 + 1 / R2 + 1 / R3)
Come illustrato in fig. 2.31, si può generalizzare questo risultato ad un numero arbitrario di resistori collegati in parallelo affermando che N resistori in parallelo si comportano come un singolo resistore di resistenza equivalente REQ data dall'espressione:
(F2.21)
ovvero:
(F2.22)
Spesso nel seguito ci riferiremo alla combinazione in parallelo di due o più resistori con la seguente notazione:
R1 || R2 || ...
dove il simbolo || significa "in parallelo con". Dai risultati mostrati nelle equazioni 2.21 e 2.22, ottenuti direttamente dalla legge di Kirchhoff delle correnti, si può ricavare facilmente la regola di partizione delle correnti: N resistori in parallelo si comportano come un singolo resistore di resistenza equivalente REQ, il cui reciproco della resistenza è dato dalla somma dei reciproci di ciasun resistore (formula F2.21).
Consideriamo di nuovo il circuito a tre resistori di figura 2.31. Dall'espressione già derivata per ciascuna delle correnti, i1, i2 ed i3, possiamo scrivere:
i1 = v / R1 i2 = v / R2 i3 = v / R3
e poiché v = REQis, queste correnti possono essere riscritte così:
Si può facilmente vedere che la corrente in un circuito in parallelo si ripartisce in modo inversamente proporzionale alla resistenza del singolo elemento in parallelo. L'espressione generale della regola di partizione delle correnti per un circuito con N resistori in parallelo è dunque riscritta secondo la seguente formula:
(F2.23)
La formula 2.23 è al cosidetta formula del partitore di corrente.
L'analisi delle reti che introdurremo nel capitolo 3 è basata sui semplici principi fin qui esposti. Sfortunatamente, nella pratica i circuiti sono raramente costituiti da elementi solo in serie o solo in parallelo. I seguenti esempi ed esercizi illustrano alcuni casi semplici che combinano elementi in serie ed in parallelo.
Trovare la corrente ix nel circuito mostrato in figura 2.32.
Soluzione:
Il modo più diretto per ottenere la soluzione consiste nell'applicare la regola di partizione delle correnti, in cui la resistenza da 10 Ω è associata alla corrente desiderata:
ix = 4 × (1/10) / ((1/10) + (1/2) + (1/20)) = 4 × 0.1538 = 0.6154 Ω
Un modo equivalente, ma meno diretto, per ottenere lo stesso risultato, consiste nel calcolare la resistenza equivalente del circuito in parallelo, determinare la tensione in parallelo, v, e calcolare la corrente incognita così:
ix= v / 10
Figura 2.32
Viene lasciata per esercizio la dimostrazione che questo metodo non è così diretto come l'applicazione della regola di partizione delle correnti.
Il circuito di figura 2.33 non è né in serie né un in parallelo; pertanto, non è possibile determinare direttamente la tensione v o la corrente i tramite la regola di partizione delle tensioni o delle correnti viste prima. Come possono essere determinati v ed i?
Figura 2.33
Soluzione:
Il circuito assume un aspetto più semplice non appena si nota che entrambi i resistori R2 ed R3 presentano ai loro estremi la stessa differenza di potenziale e che, per tale ragione, i due elementi sono in parallelo. Applicando la regola di partizione delle correnti, questi due resistori vengono sostituiti da un singolo resistore equivalente, in base a quanto descritto precedentemente, e si ottiene quindi il circuito equivalente di fig. 2.34.
Figura 2.34
Notiamo ora che il circuito equivalente di figura 2.34 è un semplice circuito in serie, e si può applicare la regola di partizione delle tensioni; si ha pertanto:
v = vs × (R2||R3) / (R1 + (R2||R3))
per cui la corrente è:
i = vs / (R1 + (R2||R3))