Fin dall'antichità si era notato che oggetti di ambra, strofinati con un panno di lana, tendevano poi ad esercitare quella che oggi definiamo "elettricità statica". Tuttavia, le conoscenze del tempo non consentivano di capire la dinamica del fenomeno. Oggi sappiamo che la lana, strofinandosi sull'ambra, perde alcuni elettroni che vanno a caricare l'oggetto, che assume quindi una carica negativa. Ma all'epoca, benchè alcune teorie filosofiche presupponessero una materia fatta di corpi piccolissimi (si pensi alle teorie del filosofo Democrito), non era possibile trarre alcuna ipotesi in merito.
Si dovrà aspettare l'Illuminismo per poter incominciare ad avere un approccio scientifico e razionale al problema: Charles A. Coulomb (1726-1806), ingegnere e fisico francese, pubblicò le leggi dell'elettrostatica in sette memorie all'Accademia Francese delle Scienze tra il 1785 ed il 1791. In Italia, Alessandro Volta (1745-1827), fisico italiano, inventò la pila elettrica e da lui discende il nome dell'unità di potenziale elettrico (volt). Hans Christian Oersted (1777-1851), fisico danese, scoprì il legame tra l'elettricità ed il magnetismo, nel 1820 (ed oggi le unità della forza di un campo magnetico discendono dal suo nome). Andre Marie Ampère (1775-1836), matematico, chimico e fisico francese, quantificò sperimentalmente la relazione tra il campo elettrico ed il campo magnetico, e da lui prende oggi il nome dell'unità di corrente. Georg Simon Ohm (1789-1854), matematico tedesco, si interessò della relazione tra tensione e corrente e quantificò il fenomeno della resistenza. I suoi primi risultati furono pubblicati nel 1827. Il suo nome è legato all'unità di resistenza.
Quelli fin qui visti sono solo alcuni degli studiosi che si dedicarono alla materia. Una lista più ricca, per quanto incompleta, la si può trovare nel corso di Fondamenti di Elettrotecnica in questo stesso sito, a cui rimandiamo per ulteriori dettagli.
Oggi sappiamo che la materia è costituita da atomi, a loro volta formati da una quantità variabile di particelle, tra cui spiccano elettroni, protoni e neutroni. Senza entrare nello specifico della fisica della materia, che ci porterebbe lontano, possiamo semplificare dicendo che dal punto di vista della conduzione elettrica, le particelle fondamentali sono gli elettroni. La corrente è infatti costituita da un flusso ordinato di elettroni all'interno di un materiale che ne consente il flusso stesso, ed è perciò definito materiale conduttore.
L'unità fondamentale, pertanto, con cui noi abbiamo a che fare è la carica elettrica, e la più piccola quantità di carica esistente è appunto la carica dell'elettrone, pari a qe= -1.602 * 10-19 coulomb. Come si può constatare, la quantità di carica associata ad un elettrone è piuttosto piccola; questo è dovuto naturalmente alla grandezza dell'unità che noi utilizziamo per misurare la carica, cioè il coulomb (C), così chiamata in onore di Charles A. Coulomb. Tuttavia, la definizione del coulomb porta ad un'appropriata unità quando noi andiamo a definire la corrente elettrica, giacché la corrente consiste nel flusso di una quantità molto grande di cariche. L'altra particella portatrice di carica, il protone, ha carica uguale in modulo ed opposta in segno a quella dell'elettrone, cioè qp= +1.602 * 10-19 coulomb. Spesso elettroni e protoni sono anche detti cariche elementari.
La corrente elettrica è definita in termini fisico-matematici come la quantità di carica Δq che transita attraverso un'area predeterminata A nell'intervallo di tempo Δt. Tipicamente, l'area considerata è la sezione trasversale di un filo metallico (materiale conduttore), tuttavia vi sono casi in cui il materiale che porta la corrente non è un filo conduttore. In figura 2.1 è mostrato un flusso macroscopico di cariche in un filo, dove si immagina che si abbiano Δqfluenti attraverso la sezione trasversale A nell'intervallo Δt di tempo. La corrente risultante, Δi, è data da:
Δi = Δq / Δt (F2.1) | |
Figura 5.1 Flusso di corrente in un conduttore elettrico |
Se di fatto si considera il flusso di un enorme numero di cariche elementari, si può scrivere questa relazione in termini differenziali:
i = dq / dt
L'unità di misura della corrente secondo il Sistema Internazionale è l'ampère (A), e si ha: 1 ampere = 1 coulomb / 1 secondo. Il nome dell'unità di misura è, come anticipato, in onore dello scienziato francese André Marie Ampère. Ne consegue che il coulomb è una unità derivata, e sarà pertanto:
1 C = 1 A × 1 s
Per convenzione si assume come verso positivo del flusso di corrente quello delle cariche positive (cioè il verso contrario a quello del moto degli elettroni).
Nei conduttori metallici, tuttavia, la corrente è portata dalle cariche negative: queste cariche sono gli elettroni liberi nella banda di conduzione degli atomi (di cui è fatta la materia), i quali sono solo debolmente legati alla struttura atomica negli elementi metallici, e sono perciò facilmente messi in movimento in presenza di un campo elettrico.
Il tempo è l'intervallo tra due eventi. La nozione di tempo è naturale nella mente dell'uomo, ma l'esigenza di misurarne la durata deve essere sorta in un momento successivo, quando, dopo essersi organizzato in gruppi, l’uomo sentì la necessità di poter comunicare e misurare il periodo che intercorre tra l'aba ed il tramonto, e "fissare" in qualche modo la sequenza degli eventi (anche religiosi o legati a rituali). Serviva quindi un qualche fenomeno naturale che, per la sua ripetitività, potesse essere utilizzato come indicatore del tempo che passa.
Ora, fra tutti i fenomeni naturali, con i quali l’uomo primitivo era quotidianamente a contatto, il moto regolare della volta celeste sembrava essere il più evidente indicatore dello scorrere del tempo. Il moto degli astri, e del Sole in particolare, era una specie di orologio naturale sempre disponibile e della cui immutabilità poteva essere certo (e ciò è vero in prima apporssimazione anche al giorno d'oggi, se si considera la durata dei fenomeni celesti in rapporto alla durata della vita di un individuo). Da questo orologio era possibile trarre, in modo diretto, un'unità di misura del tempo: essa, senza dubbio, all'inizio, fu il «giorno».
Fin dai tempi antichi il giorno venne diviso in 12 parti, ciascuna delle quali, a sua volta, in 30 frazioni. Furono i Sumeri, il popolo che 3.000 anni prima di Cristo viveva sulle rive dei fiumi Tigri ed Eufrate, a suddividere il giorno in questo modo; essi, in precedenza, avevano già diviso l'anno in 12 mesi e i mesi in 30 giorni.
Non è chiaro il perchè di questa divisione proprio in 12 mesi di 30 giorni, ma a parte probabilmente una conoscenza elevata del moto astrale di cui oggi forse si è persa notizia, forse alla decisione hanno contribuito anche ragioni di carattere religioso.
Il 12 e il 30 sono due numeri particolari in quanto, caso unico, si lasciano dividere in vario modo in parti più piccole senza lasciare resto e questo fatto doveva essere molto vantaggioso: il 12 infatti è divisibile, senza lasciare resto, per 2, 3, 4 e 6 e nessun altro numero così piccolo si lascia dividere in tante parti dando sempre valori interi. Analogamente il 30 si lascia dividere, usando sempre i numeri interi, per 2, 3, 5, 6, 10 e 15.
Successivamente gli Egizi decisero che era più utile, ai fini pratici, suddividere il giorno in 24 ore invece che in 12. Il giorno egiziano, tuttavia, pur essendo diviso in 24 ore era profondamente diverso da quello odierno: innanzitutto, in esso si distinguevano le ore di luce, che erano 10, da quelle di buio, che erano 12, ed oltre a queste 22 ore venivano conteggiate altre due ore a parte per i crepuscoli: un'ora per l'alba ed un'altra per l'imbrunire.
Il problema era che così facendo, le ore del giorno finivano per avere durata diversa nel corso dell’anno in quanto, dovendo essere ciascuna di esse pari ad un decimo delle ore di luce totale: diventavano più lunghe d'estate (circa 75 minuti) e più brevi d'inverno (circa 45 minuti), quando le giornate sono più corte (circa 15 ore di luce d’estate contro solo 9 d’inverno).
Di conseguenza, anche la durata delle ore notturne e quella dei crepuscoli variava lungo l’anno. Il sistema egiziano era obiettivamente complicato e alla fine si decise di semplificarlo dividendo tanto le ore di luce quanto quelle di buio per 12. Le ore variavano sempre in lunghezza da stagione a stagione, ma ora le variazioni erano uniformi. Si pensa che questa semplificazione sia stata la conseguenza dell'invenzione dei primi orologi che non dipendevano direttamente dal moto degli astri. Questi nuovi orologi erano le «clessidre ad acqua», congegni molto semplici che misuravano il passare del tempo vuotando o riempiendo di acqua un recipiente.
Fino a quel momento il tempo era stato sempre misurato osservando il movimento delle stelle e, in particolare, durante il giorno, quello del Sole. Gli antichi sapevano quanto fosse pericoloso osservare direttamente gli spostamenti del Sole in cielo, ma piantando una asticella a terra, era possibile conoscere la posizione del Sole osservando lo spostamento dell’ombra proiettata dalla stessa. Tale asta (la cui estremità era detta gnomone, che in greco significa "uno che sa") venne quindi fissata ad una coppa dotata di piedistallo: sul bordo della coppa erano incisi dei numeri che indicavano le ore del giorno e poiché a metà giornata, quando il Sole è alto in cielo, le ombre si muovono con maggior lentezza, sul bordo della coppa i numeri relativi alle ore meridiane risultavano sistemati più vicini gli uni agli altri, mentre quelli che indicavano le ore della mattina presto o del tardo pomeriggio erano più distanziati fra loro. Questo strumento per la misura del tempo fu chiamato meridiana.
Anche questa aveva però un difetto: il Sole non percorre in cielo sempre la stessa traiettoria, perchè sappiamo che, più ci si allontana dall'equatore, più esso rimane basso sull'orizzonte d'inverno e si alza d'estate, descrivendo archi sempre più ampi sui nostri orizzonti; pertanto, da un giorno all'altro, alla stessa ora, l'ombra del bastone non avrà né la stessa lunghezza, né la stessa direzione. Era necessario quindi definire meglio cosa si intendeva per "giorno".
Per determinare la durata del giorno, vi sono vari approcci. Vediamo le proprietà e le differenze.
Se in una notte serena si guarda in alto in cielo, verso nord, per un tempo sufficientemente lungo, ci si accorge che le stelle si muovono, tutte insieme, intorno ad un punto, coincidente, quasi esattamente, con la Stella Polare. Il «Piccolo Carro», ad esempio, gira intorno alla Stella Polare, che è la prima del suo timone, come fosse la lancetta di un orologio che si muove però in senso antiorario. Quando il Piccolo Carro, insieme alle altre stelle, ha compiuto un giro completo attorno alla Stella Polare (che, come sappiamo, rappresenta il punto d’incontro del prolungamento dell’asse terrestre con la volta celeste) noi diciamo che è trascorso un giorno.
Per determinare però, con precisione, la nostra unità di misura, è indispensabile individuare in cielo il cosiddetto meridiano del luogo. Si segna, innanzi tutto, il punto che si trova esattamente sulla verticale dell'osservatore: quel punto si chiama zenit. Si traccia quindi, idealmente, una semicirconferenza che da nord passando per lo zenit arrivi a sud. Questa linea che divide il cielo in due metà uguali è denominata meridiano. Anche gli altri astri, nel loro spostarsi da oriente ad occidente, attraversano quella linea a metà del loro cammino. La Stella Polare, invece, sta permanentemente su quella linea, ad un’altezza, alle nostre latitudini, intermedia fra l’orizzonte e lo zenit. Una volta individuato il meridiano del luogo, possiamo definire con rigore quello che viene chiamato il giorno sidereo, ossia il giorno determinato con riferimento ad una stella. Esso è l'intervallo di tempo che intercorre fra due passaggi successivi della stessa stella sul meridiano del luogo. Questo lasso di tempo dura esattamente 23 ore, 56 minuti primi e 4 minuti secondi (23h 56’ 4”).
Il giorno solare è l'intervallo di tempo che intercorre fra due passaggi successivi del Sole sul meridiano del luogo: tuttavia, si scopre che esso dura mediamente 24 ore, quindi circa quattro minuti in più del giorno sidereo, ma non ha sempre la stessa durata nel corso dell’anno. Come mai? Il motivo della discordanza fra giorno solare e giorno sidereo risiede nel fatto che la Terra, mentre ruota su sé stessa, si muove anche, e nello stesso senso antiorario, intorno al Sole, spostandosi, rispetto ad esso, in modo apprezzabile. La Terra non si sposta invece, nel corso dell’anno, in modo apprezzabile, rispetto alle stelle fisse, le quali, essendo lontanissime, appaiono sempre nella stessa posizione quando vengono osservate dai diversi punti nei quali si viene a trovare il nostro pianeta nel suo viaggio intorno al Sole.
A causa del movimento di rivoluzione della Terra, un osservatore vede il Sole cambiare posizione, giorno dopo giorno, rispetto allo sfondo delle stelle fisse. Pertanto, immaginiamo di vedere, a mezzogiorno, insieme al Sole che passa (o "culmina", come anche si dice) sul meridiano del luogo, una stella che gli stia esattamente sopra la testa, e quindi anch'essa sullo stesso meridiano. Dopo un giorno sidereo, cioè dopo che la Terra avrà effettuato una rotazione completa su sé stessa, la stella ripasserà esattamente sul meridiano del luogo (dove si trovava il giorno prima), ma non ripasserà per quel punto il Sole perché in ritardo: esso si trova infatti spostato di circa un grado verso est. La Terra dovrà quindi girare su sé stessa ancora di circa 1 grado (e lo farà in circa 4 minuti) per potersi riallineare con il Sole.
Il giorno seguente, per trovarsi di nuovo allineata con il Sole, dopo la culminazione della nostra stella di riferimento sul meridiano del luogo, la Terra dovrà spostarsi di due gradi sull'orbita e per farlo impiegherà circa 8 minuti, perché ora dovrà girare su sé stessa di ulteriori due gradi, e così via. L'orologio sidereo è dunque un po’ più veloce dell'orologio solare perché le ore, i minuti e i secondi dell’orologio sidereo sono un po’ più brevi di quelli dell’orologio solare. Per la precisione, ad ogni giorno che passa, l'orologio sidereo guadagna circa 4 minuti su quello solare e alla fine dell'anno avrà guadagnato un giorno intero (4' × 365g = 1.460' = 24 ore circa). Questo spiega perchè ci si basi sul movimento del Sole, e non su quello delle stelle.
Il giorno sidereo non va confuso con il giorno siderale. Il giorno sidereo è un lasso di tempo che si può considerare in prima approssimazione costante. In realtà non è proprio così perché la Terra non gira in modo regolare intorno al proprio asse, sia per effetto della propria forma non sferica (ma leggermente schiacciata ai poli), sia per la non uniformità della propria massa (le terre emerse hanno densità diversa rispetto agli oceani), sia per effetto dei vari corpi celesti che la circondano che esercitano una attrazione gravitazionale sulla stessa che varia nel tempo e nello spazio.
Si è cercato quindi un sistema di riferimento più generale per la determinazione della posizione dei corpi celesti, e si rese necessario riferirlo rispetto al cosiddetto punto vernale. Il punto vernale (da "ver", termine indoeuropeo con il quale si indicava la primavera), detto anche punto d'Ariete o punto gamma, è un punto del cielo ben preciso che corrisponde all'intersezione dell'eclittica (cioè del piano su cui giacciono Sole e Terra) con l'equatore celeste (che non è altro che il prolungamento di quello terrestre). Questo punto si sposta in continuazione dalla sua posizione, ma le leggi che regolano i suoi movimenti, a differenza dei movimenti delle cosiddette stelle fisse, sono tutte note. Ora, definiamo il piano definito dall'orbita della Terra intorno al Sole come piano dell'eclittica (in pratica, come abbiamo detto, è il piano su cui giacciono Terra e Sole) mentre chiamiamo piano equatoriale celeste il prolungamento del piano equatoriale terrestre fino ad incontrare la volta celeste. Ebbene, il piano dell'eclittica è inclinato, rispetto al piano equatoriale celeste, di circa 23° e 30".
A causa della posizione inclinata di un piano rispetto all’altro, un osservatore che sta sulla Terra, vede il Sole, nel suo moto apparente sul piano dell'eclittica, viaggiare per 6 mesi stando al di sopra del piano equatoriale e per 6 mesi stando al di sotto di esso: pertanto, due volte all'anno il Sole si troverà nei punti di intersezione del piano equatoriale con quello della eclittica, detti «punti equinoziali» (dal latino aequa nox che vuol dire “notte uguale”, perché nei due giorni dell'anno in cui il Sole viene a trovarsi nei punti suddetti la durata della notte, o meglio, la durata delle ore di buio, è la stessa in ogni località della Terra ed è anche uguale a quella del giorno, ossia delle ore di luce).
Uno di questi punti d'intersezione è quello in cui transita il Sole all'inizio della primavera e si chiama, come abbiamo detto, punto vernale. A volte questo punto è contrassegnato con la lettera greca gamma γ, antico simbolo della costellazione dell'Ariete, in quanto, circa 2.000 anni fa, all'inizio della primavera, il Sole appariva proiettato proprio nella costellazione dell'Ariete. Distingueremo quindi il giorno sidereo dal giorno siderale che definiremo come l'intervallo di tempo compreso fra due passaggi consecutivi del punto gamma (e non di una stella qualsiasi) sul meridiano del luogo.
Il giorno siderale risulta più corto (di circa un centesimo di secondo) del giorno sidereo e quindi non corrisponde più ad una rotazione completa della Terra su sé stessa. Questa piccola differenza è conseguenza del fatto che il punto gamma non è fisso in cielo, ma si sposta leggermente nella direzione della rotazione diurna della sfera celeste e quindi appare, sul meridiano del luogo, prima che si sia completata la rotazione della Terra su sé stessa.
Come abbiamo visto, il Sole non è un buon orologio, perché a volte procede troppo velocemente e a volte troppo lentamente. Come fare allora per uniformare la misurazione dello scorrere del tempo? Gli astronomi hanno pensato di correggere a tavolino il movimento del Sole creandone uno artificiale che si muove in cielo con moto perfettamente regolare e costante e che a volte precede il Sole vero e a volte lo segue, ma che alla fine del viaggio arriva alla pari con esso. Questo ipotetico Sole è stato chiamato «Sole medio».
Con l'introduzione del Sole medio si pensò di essere entrati finalmente in possesso di un intervallo temporale rigorosamente preciso e costante. Questo intervallo di tempo è stato chiamato giorno solare medio e può essere definito come il tempo che intercorre fra due successive culminazioni del Sole medio sul meridiano del luogo. Il giorno solare medio rappresenta la media aritmetica di tutti i giorni di un anno e dura esattamente 24 ore ma nemmeno questo è quell’intervallo di tempo preciso e accurato che ci si era illusi di avere individuato.
Dal giorno solare medio si è passati, nel 1820, alla definizione di quella che sarebbe rimasta, per più di cento anni, l'unità fondamentale di misura del tempo nel «Sistema Assoluto delle Misure», vale a dire il secondo. Esso, su proposta di un comitato di scienziati francesi, venne definito come la 86.400a parte del giorno solare medio (24 ore × 60 minuti × 60 secondi = 86.400 secondi, in un giorno).
Nel corso dell'anno, il «tempo solare vero» (che è dato, come si è detto, dal Sole vero che si muove in modo irregolare) un po' è in anticipo e un po' è in ritardo rispetto al «tempo solare medio» (che è dato invece da un Sole fittizio che si muove uniformemente lungo l'equatore celeste) e solo in quattro giorni dell'anno i due tempi coincidono. La differenza, positiva o negativa, fra tempo vero e tempo medio si chiama «equazione del tempo» ed è stata calcolata per tutte le ore della giornata e per tutti i giorni dell'anno, tuttavia di solito viene fornita solo per il mezzogiorno e sotto forma di grafico che viene chiamato analemma.
Si tratta in pratica di un diagramma a forma di sinusoide che rappresenta una sintesi del divario fra il mezzogiorno vero e quello medio nei diversi giorni dell'anno. A volte, sulle meridiane, ossia su quelle linee sulle quali, al mezzogiorno vero, cade il raggio di luce solare, viene disegnata una strana figura a forma di "otto". Essa non è altro che un modo diverso di rappresentare, sotto forma di grafico, la equazione del tempo. In essa sono infatti indicati, per ciascun mese dell'anno e per i vari giorni del mese, le correzioni da apportare all'ora segnata dalla meridiana stessa per ottenere il mezzogiorno solare medio.
Anche il giorno solare medio non però è un'unità di misura sufficientemente precisa e tale da soddisfare le esigenze di una società moderna fondata prevalentemente sulla ricerca scientifica e tecnologica. Per queste attività sarebbe infatti necessario disporre di un'unità di misura di altissima precisione che il movimento della Terra su sé stessa non è in grado di garantire. Questa nuova unità di misura alla fine fu individuata nel cosiddetto tempo delle Effemeridi(T.E.), una misura del tempo fissa e immutabile, così denominata perché è impiegata per il calcolo delle posizioni dei corpi del sistema solare. Le effemeridi (dal greco: ἐπί = sopra e ἡμέρα = giorno) sono propriamente delle tabelle in cui vengono riportate, ad intervalli di tempo costanti e regolari (ad esempio per tutti i giorni), le posizioni che assumeranno in cielo i principali corpi celesti come ad esempio la Luna, il Sole, i pianeti e i loro satelliti, calcolate a partire dalle posizioni che gli stessi occupano in un preciso istante, e dalle velocità con le quali viaggiano.
Si decise quindi di prendere in considerazione la durata dell'anno tropico che corrisponde al tempo che impiega il Sole a ritornare, un anno dopo, al punto vernale dal quale era partito l’anno prima. Il nome di anno tropico deriva dalla definizione che anticamente veniva data al periodo di tempo impiegato dal Sole, nel suo moto apparente, per tornare, dopo un anno, al solstizio con lo stesso nome.
Ora è evidente che anche l'anno tropico (come già il giorno siderale) non è un intervallo di tempo costante e inalterabile, perché il punto vernale si muove e anche in modo non del tutto uniforme. Quindi per poter definire un periodo di tempo fisso e costante, come richiesto dalla ricerca scientifica, era necessario specificare, oltre al periodo, anche l'anno al quale far riferimento. La scelta, alla fine, cadde sull'anno che iniziava il 31 dicembre 1899 a mezzogiorno (corrispondente al giorno 0 gennaio 1900, ore 12) e terminava alla stessa ora del 31 dicembre del 1900. Da questa unità di misura si ricavò il secondo delle Effemeridi il quale, di conseguenza, diventava un tempo ideale che si sarebbe mantenuto, per definizione, fisso e immutabile per sempre.
Così, nel 1960, su proposta dell'Unione Astronomica Internazionale (IAU) in occasione dell'XI Conférence générale des poids et mesures, dopo avere determinato con precisione la durata del primo anno tropico del secolo scorso che risultò essere di 31.556.925,9747 secondi, si decise di assumere, come unità di misura del tempo, il valore che si ricava dalla frazione 1/31.556.925,9747 dell'anno tropico. Questa frazione dell’anno tropico venne chiamata Secondo di Tempo delle Effemeridi. Nei calcoli e nelle misure temporali di precisione oggi si usa quindi il secondo delle Effemeridi, che è un’unità di tempo la quale viene scandita con la massima regolarità e precisione dai cosiddetti orologi atomici, i "marcatempo" più affidabili attualmente in uso.
L'unità di misura del tempo oggi corrisponde, pertanto, a un campione fisico perfettamente stabile e riproducibile in laboratorio. Questo intervallo di tempo, praticamente invariabile, per ironia della sorte si dimostra ora... troppo preciso! La contraddizione dipende dal fatto che i tempi della vita civile continuano ad essere regolati dal corso non del tutto uniforme del Sole e non da quello estremamente preciso e regolare degli orologi atomici.
Per questo motivo, il tempo dato dall'orologio atomico deve essere periodicamente corretto perché sia rimesso al passo con il tempo solare, che rimane il vero punto di riferimento sia per gli impieghi civili sia per le attività scientifiche. Fra la durata del Tempo delle Effemeridi e quella del Tempo solare medio esiste infatti una piccola differenza, che va aumentando con il passare degli anni e che, dal 1900 ad oggi, è diventata di poco più di 80 secondi.
Si tratta, tutto sommato, di poca cosa (un secondo ogni 15 mesi circa), che costringe tuttavia i tecnici a regolare il tempo civile aggiungendo, ogni tanto, un secondo ai nostri orologi: il risultato si ottiene arretrando di un secondo le lancette dell’orologio che portiamo al polso. Pertanto, il giorno in cui si effettua la correzione invece che contare 86.400 secondi ne conta 86.401. Per convenzione, nel 1958 tempo atomico e tempo astronomico furono fatti coincidere, ma da allora la Terra ha continuato a “perdere giri” in funzione dei suoi complessi movimenti nello spazio.
Gli orologi atomici sono entrati in uso nel 1955 e si sono subito dimostrati più precisi di quelli a quarzo che, a causa di variazioni anche minime dei componenti del circuito elettrico che stimola il cristallo, e dell'invecchiamento del cristallo stesso, provocavano, a lungo termine, una leggera variazione della frequenza. Gli orologi atomici non hanno invece di questi problemi e sono quindi degli apparecchi di grande precisione che tuttavia non segnano le ore e i minuti, come fanno gli orologi normali, ma scandiscono semplicemente i secondi con un ritmo che, come abbiamo visto, si mantiene costante per tempi lunghissimi. Il loro funzionamento si basa sulle vibrazioni naturali delle radiazioni elettromagnetiche emesse o assorbite dagli atomi.
Le radiazioni elettromagnetiche sono delle onde che viaggiano nello spazio alla velocità della luce, che è essa stessa una radiazione elettromagnetica. Gli atomi, come è noto, sono costituiti di elettroni in rapidissimo movimento intorno ad un nucleo centrale formato di protoni e neutroni. Gli elettroni viaggiano, in condizioni normali, su determinati livelli energetici, dai quali possono spostarsi solo se vengono investiti da una qualche forma di energia. Tutte le volte che un elettrone viene colpito da una radiazione elettromagnetica di determinata lunghezza d'onda, salta su un livello energetico superiore dal quale però immediatamente dopo ricade su quello da cui era partito, emettendo a sua volta radiazioni elettromagnetiche. Questi salti compiuti dagli elettroni sono estremamente precisi e ad ogni specifica transizione corrisponde una precisa e calibrata quantità di energia, ossia una radiazione di determinata lunghezza d'onda. Gli elettroni, oltre che girare intorno ai nuclei girano anche su sé stessi e come una certa quantità di energia può spostare un elettrone da un’orbita ad un’altra, allo stesso modo una certa quantità di energia può far cambiare senso di rotazione all’elettrone stesso.
Ogni transizione fra i livelli energetici di qualsiasi atomo potrebbe essere utilizzata, in linea di principio, come orologio atomico. Tuttavia, per motivi tecnici la scelta alla fine cadde sul cesio, che è un metallo piuttosto raro e il cui atomo presenta l'elettrone più esterno che può ruotare su sé stesso sia in un senso che nell'altro. Ora, a seconda del senso di rotazione, l'energia differisce leggermente e nel passaggio da uno stato all'altro l'elettrone emette o assorbe questa piccola quantità di energia sotto forma di radiazione elettromagnetica di determinata lunghezza d’onda o, se si preferisce, di determinata frequenza. La frequenza di un’onda rappresenta il numero delle oscillazioni (dette anche cicli) dell’onda stessa nell’unità di tempo. Ebbene, il cesio o, più precisamente, l'isotopo 133 di quell’elemento, emette radiazioni con una frequenza di 9.192.631.770 cicli al secondo ad ogni inversione di rotazione dell'elettrone più esterno.
Nel 1967 la XIII Conférence générale des poids et mesures adottò la seguente definizione di secondo: "Il secondo del Sistema Internazionale di Unità (S.I.) è la durata di 9.192.631.770 periodi della radiazione dovuta alla transizione fra due livelli energetici iperfini dello stato fondamentale dell'isotopo 133 del cesio". Questo significa che oggi l’anno non è più lungo 365,242199 giorni, ma oltre 290 milioni di miliardi di oscillazioni del cesio. Per la precisione 290.091.200.500.000.000. La precisione di questi orologi è talmente raffinata da rendere evidenti gli effetti relativistici delle teorie di Einstein: ad esempio, su una montagna dove la distanza dal centro di gravità è maggiore che in pianura, l’attrazione gravitazionale sarà minore e il tempo accelererà secondo quanto previsto dalla teoria relativistica.
Proprio al fine di eliminare possibili piccole differenze dovute a situazioni locali l’ora del nostro pianeta è una media statistica delle diverse ore registrate da 200 orologi al cesio distribuiti in 50 laboratori sparsi in tutto il mondo. Per questa ragione il tempo su cui viene calcolata l’ora locale è chiamato UTC (Tempo Universale Coordinato). Si chiama Universale perché è accettato da tutti i Paesi e coordinato perché tutti i laboratori del mondo si sono accordati per fornire segnali di tempo con lo stesso margine di incertezza.
Oggi la precisione prevede un margine di errore di un decimiliardesimo di secondo al giorno, il che significa che questi orologi per sgarrare un secondo impiegherebbero trenta milioni di anni. Ma è in allestimento un orologio atomico ancora più preciso che funziona contando le oscillazioni della luce emessa da un laser mantenuto in risonanza con le vibrazioni di un singolo atomo di mercurio. Con questo orologio il margine di errore si ridurrà ulteriormente fino a un secondo ogni 15 miliardi di anni, la durata dell’intera vita dell’Universo. Le applicazioni di questo oroglogio sono tante, prevalentemente nel mondo scientifico e nell'ambito dei futuri programmi spaziali.
Quello che forse non tutti sanno è che l'unita di misura della lunghezza, il metro, ha una storica correlazione con le misure della grandezza del nostro pianeta. Numerosi sono stati infatti i tentativi eseguiti fin dall'antichità per determinare le dimensioni della Terra.
Non appena si fu affermata l'idea della sfericità della Terra (ben 1800 anni prima di Cristoforo Colombo), il problema delle misure della Terra fu risolto teoricamente con un ragionamento molto semplice, come fosse un problema puramente geometrico.
In effetti, se si considera la Terra come una sfera perfetta basta misurare la lunghezza di un qualsiasi arco di meridiano (circolo massimo passante per i poli) e determinare l'ampiezza dell'angolo al centro ad esso corrispondente, per risalire, mediante una semplice proporzione, alla lunghezza dell'intera circonferenza; da questa poi, applicando le note formule della geometria, si possono facilmente ricavare le altre dimensioni (raggio, area, volume) della sfera terrestre.
Sembra che le prime osservazioni basate su questo principio siano da attribuire a Eudosso di Cnido ed a Dicearco da Messina (IV sec. a. C.): il primo avrebbe trovato per la circonferenza terrestre meridiana una lunghezza corrispondente a circa 74000 km, il secondo una lunghezza pari a circa 55000 km, entrambe più elevate di quella che è la lunghezza reale (circa 40009 km). Il tentativo di cui abbiamo notizie più sicure, e che condusse ad un risultato molto più preciso, è però quello eseguito da Eratostene di Cirene (III sec. a.C.).
Eratostene riteneva che le città di Alessandria d'Egitto e Siene (l'odierna Assuàn) fossero situate sullo stesso meridiano (cosa che, in realtà, non è perfettamente esatta); conosceva la loro distanza, valutata a quei tempi in 5000 stadi, e sapeva inoltre che a mezzogiorno del 21 giugno (solstizio d'estate) a Siene i corpi non producevano ombra, che cioè in quell'istante il Sole era sulla verticale della città. Egli misurò per mezzo di una scafe (strumento a forma di emisfera cava graduata, con infisso al centro uno stilo o asticciola) l'angolo che i raggi del Sole formavano con la verticale, in quello stesso istante, ad Alessandria: esso risultò pari ad 1/50 circa della misura angolare di una intera circonferenza.
Poiché il Sole si trova ad enorme distanza da noi e quindi i raggi che da esso giungono alla Terra si possono considerare paralleli tra loro, questo angolo doveva essere uguale a quello che la verticale di Siene faceva, al centro della Terra, con quella di Alessandria; pertanto, moltiplicando per 50 il valore lineare dell'arco corrispondente (cioè i 5000 stadi di distanza tra Siene ed Alessandria), Eratostene, nonostante le imprecisioni relative alle posizioni delle due città, otteneva per la circonferenza terrestre meridiana la lunghezza di 250000 stadi egiziani, che dovrebbero corrispondere a 39375 km: valore sorprendentemente vicino (inferiore di soli 634 km circa) a quello che oggi accettiamo come vero e che è stato però determinato molto più tardi con metodi e strumenti enormemente più moderni e precisi.
Dal tempo di Eratostene dovettero passare circa diciannove secoli prima di avere una migliore valutazione delle dimensioni della Terra, come quella ottenuta nel 1671 dall'astronomo Jean Picard, il quale misurò l'arco di meridiano congiungente Amiens con Mahoisine (presso Parigi): egli ottenne la lunghezza di 40033 km per la circonferenza meridiana della Terra, con l'incertezza di 4 km e cioè dell'l su 10.000.
In realtà però l'errore nella circonferenza era alquanto maggiore di quanto si poteva dedurre dalla precisione della misura del grado, e ciò per il fatto che la Terra non è una sfera ma piuttosto un ellissoide. Tuttavia, le dimensioni della Terra costituirono la base del Sistema Metrico Decimale, fissato nel 1793 dall'Accademia delle Scienze di Parigi. Questa, dopo aver fatto eseguire accurate misure dell'arco di meridiano di un grado in Perù e in Lapponia, stabiliva la nuova unità di misura - il metro - come equivalente alla quarantamilionesima parte del meridiano terrestre e faceva costruire un campione di iridio e platino di lunghezza corrispondente; tale campione viene ancora conservato nell'«Archivio Nazionale di Pesi e Misure» di Parigi.
In seguito si constatò che il meridiano terrestre è un po' più lungo di 40 milioni di metri (40 009 152 m); per cui il campione suddetto, per rappresentare esattamente la quarantamilionesima parte del meridiano, dovrebbe essere allungato di circa 2/10 di millimetro. C'è da notare inoltre che questo campione, costruito con materiale ritenuto praticamente indeformabile, oggigiorno non offre più la precisione richiesta dalla tecnica moderna; perciò in campo internazionale esso è stato sostituito da misure più accurate.
Nel 1960, con la disponibilità dei laser, l'XI Conférence générale des poids et mesures cambiò la definizione del metro in: la lunghezza pari a 1 650 763,73 lunghezze d'onda nel vuoto della radiazione corrispondente alla transizione fra i livelli 2p10 e 5d5 dell'atomo di kripton-86.
Nella XVII Conférence générale des poids et mesures del 1983, il metro è stato definito come la distanza percorsa dalla luce nel vuoto in un intervallo di tempo di 1/299792458 di secondo. La velocità di propagazione delle onde elettromagnetiche nel vuoto (velocità della luce) è infatti una costante fondamentale della Fisica, che si ritiene immodificabile.
Con la definizione del metro introdotta nel 1983, il suo valore è assunto come esatto (cioè privo di incertezza) e immodificabile: c = 299792458 m/s. Per la realizzazione pratica del campione di metro, è raccomandato l'uso della radiazione monocromatica emessa da un laser ad elio-neon nella regione del rosso visibile (lunghezza d'onda λ = 633 nm).
In campo scientifico, per eseguire una misurazione, occorre rispettare 3 requisiti fondamentali:
Una ulteriore distinzione va fatta quando ci si accinge a descrivere un oggetto: quando si descrive a parole una proprietà, si sta caratterizzando l'oggetto qualitativamente; mentre quando le proprietà possono essere misurate e descritte con l'aiuto delle unità di misura, si caratterizza l'oggetto quantitativamente.
Le unità di misura adoperate in campo scientifico fanno parte di un sistema chiamato Sistema Internazionale (sigla SI). Il Sistema Internazionale è nato ufficialmente nel 1960, durante l'11a CGPM (Conférence générale des poids et mesures).
Il Bureau international des poids et mesures (in italiano Ufficio internazionale dei pesi e delle misure), abbreviato come BIPM, è un'organizzazione di standardizzazione, uno dei tre organismi costituiti su base internazionale al fine di mantenere il Sistema internazionale di unità di misura, nei termini stabiliti dalla Convenzione Metrica (Metre Convention) del 1875 (al 2005 sottoscritta da 51 Paesi).
Gli altri due organismi con questo incarico sono: la già citata Conférence générale des poids et mesures (CGPM), che si riunisce a Parigi ogni 4, 5 o 6 anni, ed il Comité international des poids et mesures (CIPM), costituito da 80 persone provenienti dagli Stati membri della Convenzione Metrica, ed il cui compito principale è quello di assicurare l'uniformità in tutto il mondo delle unità di misura attraverso sue azioni dirette o sottoponendo proposte alla CGPM. Il S.I. è oggetto di direttive della Comunità Europea fin dal 1971, ed è stato legalmente adottato in Italia nel 1982.
Il Sistema Internazionale distingue per convenzione tra due tipi di grandezze:
Il S.I. è inoltre:
La caratteristica più importante del Sistema Internazionale è la sua semplicità: infatti, sette unità di misura di base sono i "mattoni" che costituiscono il fondamento del Sistema stesso, e di tutte le unità derivate. Queste unità di misura di base, o fondamentali, sono illustrate in tabella 1.1:
Tabella 1.1: Unità di base del sistema internazionale | ||
Grandezza | Nome dell'Unità | Simbolo |
lunghezza | metro | m |
massa | chilogrammo | kg |
tempo | secondo | s |
corrente elettrica | ampére | A |
temperatura termodinamica assoluta | kelvin | K |
quantità di sostanza | mole | mol |
intensità luminosa | candela | cd |
Per quanto riguarda le unità di misura, esse dovrebbero essere scritte per esteso, e non indicate con il simbolo, se inserite in un testo discorsivo, mentre vanno usati i simboli in contesto scientifico (ad esempio, nelle formule, purchè questo non infici la leggibilità della formula stessa); la scrittura estesa deve essere in carattere tondo minuscolo e si devono evitare segni grafici come accenti o segni diacritici. Ad esempio si deve scrivere ampere, e non ampère o Ampere.
Al contrario delle abbreviazioni, i simboli dell'SI non devono mai essere seguiti da un punto (per il metro: m e non m.); essi devono inoltre seguire il valore numerico e non precederlo (si scrive ad esempio 20 dm, e non dm 20) con uno spazio tra i numeri ed i simboli: ad esempio 2,1 kg, 7,3 · 102 m. Nelle unità di misura composte (ad esempio il newton metro: N m) i simboli delle singole unità devono essere separati da uno spazio o da un punto a mezza altezza; non è ammesso l'uso di altri caratteri, come ad esempio il trattino: ad esempio si può scrivere N m oppure N·m, ma non N-m. In caso di divisione fra unità di misura, si può usare la frazione / (o la barra orizzontale) o un esponente negativo: ad esempio J/kg o J kg−1 o J·kg-1. Qualora necessario, gruppi di unità di misura si possono mettere fra parentesi: ad esempio:
È preferibile non usare il corsivo o il grassetto per i simboli, in modo da differenziarli dalle variabili matematiche e fisiche (ad esempio, m per la massa, l per la lunghezza).
L'SI, infine, usa gli spazi per separare le cifre intere in gruppi di tre. Ad esempio 1 000 000 o 342 142 (contrariamente alle virgole ed ai punti usati in altri sistemi: 1,000,000 o 1.000.000). Inoltre, l'SI usa la virgola come separatore tra i numeri interi e quelli decimali come in 44,61. Tuttavia, dal 2003 il CGPM ha concesso la possibilità di usare il punto nei testi in lingua inglese.
Le sette di unità di base, per quanto sufficienti a costruire l'impalcatura su cui poggia l'intero Sistema Internazionale di misura, non sono sufficienti a descrivere tutti i possibili casi reali: questo perchè si passa dall'infinitamente piccolo all'infinitamente grande, e si rischierebbe di dover maneggiare misure con un numero elevato di cifre, tali da superare perfino la capacità di calcolo di un moderno computer.
Pertanto, nel Sistema Internazionale si utilizzano prefissi per indicare i multipli e i sottomultipli di una stessa unità di misura. I prefissi del SI ed i loro equivalenti numerici sono riassunti nella tabella 1.2.
Tabella 1.2: Prefissi del Sistema Internazionale | |||
Prefisso | Simbolo | Multiplo numerico | Multiplo esponenziale |
maggiori di 1 | |||
yotta- | Y | 1.000.000.000.000.000.000.000.000 | 1024 |
zetta- | Z | 1.000.000.000.000.000.000.000 | 1021 |
exa- | E | 1.000.000.000.000.000.000 | 1018 |
peta- | P | 1.000.000.000.000.000 | 1015 |
tera- | T | 1.000.000.000.000 | 1012 |
giga- | G | 1.000.000.000 | 109 |
mega- | M | 1.000.000 | 106 |
kilo- | k | 1.000 | 103 |
etto- | h | 100 | 102 |
deca- | da | 10 | 101 |
minori di 1 | |||
deci- | d | 0,1 | 10-1 |
centi- | c | 0,01 | 10-2 |
milli- | m | 0,001 | 10-3 |
micro- | μ | 0,000001 | 10-6 |
nano- | n | 0,000000001 | 10-9 |
pico- | p | 0,000000000001 | 10-12 |
femto- | f | 0,000000000000001 | 10-15 |
atto- | a | 0,000000000000000001 | 10-18 |
zepto- | z | 0,000000000000000000001 | 10-21 |
yocto- | y | 0,000000000000000000000001 | 10-24 |
I prefissi moltiplicativi precedono il nome dell'unità di misura (fondamentale o derivata). Esempi: 1 chilometro = 1 km = 103 m; 1 micrometro = 1 µm = 10-6 m.
Come deroga alla regola generale, i multipli e sottomultipli dell'unità di massa (chilogrammo, kg) si formano invece aggiungendo i prefissi moltiplicativi alla parola "grammo" e i relativi simboli al simbolo "g". Esempio: 1 milligrammo = 1 mg = 10-3 g = 10-6 kg.
Anche per l'unità di tempo, il secondo, si ha una deroga, in quanto essa non rispetta una struttura pienamente decimale: per i sottomultipli del secondo si usa una scala decimale (e si parla quindi di decimi, centesimi, millesimi di secondo, e così via). Ma i multipli hanno una scala propria, riassunta nella tabella che segue:
secondi (s) |
minuti (m) |
ore (h) |
giorni (d) |
|
secondi (s) | 1 | 1/60 | 1/3600 | 1/86400 |
minuti (m) | 60 | 1 | 1/60 | 1/1440 |
ore (h) | 3600 | 60 | 1 | 1/24 |
giorni (d) | 86400 | 1440 | 24 | 1 |
Per ulteriori dettagli sulla natura dell'unità di tempo si rimanda al capitolo dedicato.
Sin dall'alba dei tempi l'uomo ha avuto bisogno di rapportarsi con il mondo che lo circondava. Inoltre, sin dall'inizio l'uomo ha avuto bisogno, anche per rapportarsi con i suoi simili, di punti di riferimento che permettessero il confronto tra pesi, lunghezze, tempo, etc... E' evidente che il possesso di punti di riferimento comuni o comunque confrontabili tra loro permette il confronto su basi paritetiche.
Viceversa, l'assenza di punti di riferimento per compiere qualsivoglia misurazione, rende difficile qualsiasi operazione, che sia il baratto, o il commercio, o la costruzione di un edificio, per quanto primitivo.
In un certo senso, le misurazioni sono di fatto un linguaggio, con cui l'uomo esprime concetti di quantità relativi a determinate grandezze (tempo, spazio, etc...): se due individui non hanno lo stesso "linguaggio", difficilmente potranno capirsi o interagire tra loro. Un sistema condiviso di unità di misura si rende quindi necessario e fondamentale per poter operare nella vita di tutti i giorni: così come la lingua che impariamo da bambini ci permette di interagire con i nostri simili in maniera codificata e precisa, anche le unità di misura assolvono allo scopo di definire in maniera codificata e precisa le quantità di cui intendiamo occuparci.
Ovviamente, come la lingua è un codice convenzionale condiviso tra due o più individui, così anche il sistema di misura viene ad essere un sistema convenzionale che deve essere condiviso tra due o più individui. Il successo, e la fortuna, di un sistema rispetto ad un altro dipende sia dalla semplicità del sistema stesso (e per semplicità intendiamo sia a livello di definizione che di calcoli), sia da quanto esso è condiviso, ovvero il numero di individui (o, al mondo d'oggi, di Paesi) che condividono tale sistema. Maggiore è il grado di condivisione, maggiore è la probabilità che il sistema si imponga come standard.
L'esigenza di un sistema di misura è stata sentita quindi fin dall'antichità: le civiltà del passato hanno tutte adottato propri sistemi di unità di misura, ma il limite per secoli fu l'estensione delle civiltà stesse: ognuna aveva il proprio sistema (ad esempio, il sistema greco era diverso dal fenicio, a sua volta diverso dall'egizio). La fortuna effimera dell'impero di Alessandro Magno non consentì una prima standardizzazione, e sarà solo con l'avvento di Roma e dell'Impero Romano che i sistemi di misura, almeno a livello dei domini romani (e zone di confine appena limitrofe), si imposero come standard (pur continuando a coesistere a livello locale sistemi locali propri delle province sottomesse).
La caduta dell'impero Romano d'Occidente (476 d.C) e le invasioni barbariche che ne furono la causa e l'epilogo, distrussero l'unità dell'impero e riproposero a livello macroscopico il problema. Ogni tribù barbarica aveva propri standard, e nonostante la matrice latina spesso sia sopravvissuta come sostrato alla civiltà barbarica insediatasi localmente, gli standard di misura raramente travalicarono i confini delle nascenti nazioni.
Sarà Napoleone a incominciare a mettere ordine nella babele di sistemi in uso a fine '700: l'esigenza di normare e unificare tutti i domini napoleonici, e gli stati comunque vassalli, portò al primo tentativo di costruire un sistema di unità di misura (1790). Nel 1795 il governo francese introduce per legge il Sistema metrico decimale, e fissa per la prima volta la definizione del metro, poi definita meglio nel 1799 con il metro legale di Fortin. Nel 1799 viene anche costruito il primo campione del chilogrammo.
Nonostante la caduta e la morte di Napoleone, il suo grande contributo sia nell'ambito legislativo che delle misure gli sopravviverà: nel 1832 il matematico tedesco Gauss promuove il Sistema Metrico, adottando per le misure di tempo il secondo definito astronomicamente, mentre nel 1875 viene firmata a Parigi dai rappresentanti di 17 stati la Convenzione del metro (Metre Convention) e viene istituito il Bureau International des Poids et Mesures.
Nel 1889 si tiene la prima Conférence générale des poids et mesures (Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure, in sigla CGPM) che introduce i nuovi campioni in platino-iridio del metro e del chilogrammo. Insieme con l'unità di tempo, il secondo, le tre unità della meccanica formano il sistema M.K.S. Il cammino verso l'adozione del Sistema Internazionale (SI), che verrà ufficializzato solo con la 11a C.G.P.M., nel 1960, era cominciato.