L'origine del mazzo, miticamente attribuito alla divina potenzialità del dio Thoth, si perde nelle distese del tempo, forse reale invenzione di gusto medievale o forse, come la maggior parte delle cose, reinvenzione o riscoperta di sistemi divinatori precedenti caduti nell'oblio.
Neppure l'etimologia, abilissima in molti casi a risolvere misteri, interviene fattivamente nella questione.
C'è infatti chi ravvisa l'origine del nome tarocco nel termine greco etarioi (=compagni), chi nell'arabo tar (=rivincita), o chi nel latino terère (=battere), chi nel fenicio astaroth, chi nell'ebraico tarah (=gettare le sorti) e chi nell'egizio tar rag (=via reale). Ma c'è anche chi, forse sostenuto da uno spirito più concreto, risale a un termine vecchio solo di qualche secolo che allude al sistema di stampa del retro, solitamente dorato.
Facendo leva sull'accertata presenza di carte o tavolette divinatorie presso svariate civiltà del passato come l'indiana, l'egizia e la cinese, alcuni autori le identificano con i tarocchi. Un'arbitraria assimilazione diviene così la base della pretesa origine dei tarocchi presso gli egizi, gli ebrei, gli indù o perfino presso i mitici abitanti di Atlantide. Una posizione, questa, giustificabile, qualora si intenda, sotto il termine di tarocco, un qualsiasi sistema divinatorio fondato su simboli grafici di archetipi.
È indubbio, proprio perché parte integrante dei bisogni umani, che i rappresentanti di ogni razza e tradizione abbiano in qualche modo cercato di scrutare il futuro, codificandone i simboli in immagini archetipiche, comuni all'intera specie umana. Ma se si intende ricercare l'origine storica del tarocco come noi lo conosciamo e adoperiamo, occorre attendere le soglie dell'Umanesimo, fervente periodo di creazioni e riscoperte.
La prima testimonianza storicamente attestata del tarocco è infatti ravvisabile solo nei «naibi», serie di carte didascaliche per l'educazione dei fanciulli, piuttosto diffuse a quell'epoca e incentrate su figure allegoriche di situazioni e personaggi. La Giustizia, il Sole, la Temperanza sarebbero quindi figlie o nipoti delle muse, di Apollo, delle virtù teologali, bagaglio culturale degli scolaretti trecenteschi.
La questione più interessante risiede comunque nel fatto che il tarocco vero e proprio, costituito dai 22 trionfi, dalle carte numerali e dalle figure, probabili discendenti del gioco dei dadi e degli scacchi, fa la sua comparsa ufficiale verso la metà del Trecento. Siamo in piena epoca templare, un'epoca ricca di fermenti e sincretismi orientali carpiti durante le crociate, spiritualizzata dal sorgere delle cattedrali, velata dall'inquietante mistero dei cavalieri del Santo Sepolcro, sterminati da Filippo IV, il Bello.
Un'epoca, quindi, in cui l'esoterismo affiora e impregna di sé, alle soglie dei grandi roghi che arderanno nelle piazze, la mentalità comune del nobile e del popolano. Può allora accadere che un mazzo di carte, originariamente destinato a scopi ludici, risenta di questa arcana corrente, di questo dilagante simbolismo di origine arcaica e se ne impregni fino a trasformarsi in mazzo divinatorio.
Certo è che il gioco del tarocco subì quasi subito le sorti di tutto ciò che si opponeva ai rigidi schematismi imposti, duramente ostacolato da ecclesiastici e regnanti. Anatemi e minacce di bibliche punizioni continuarono per secoli a pendere sul capo di chi osasse sollevare il velo sul futuro, affievolendosi soltanto quando l'ironia dei razionalisti, nel secolo dei lumi, iniziò a etichettare l'arcano come risibile forma di superstizione.
Più tardi il Romanticismo, con le sue proverbiali inquietudini, i suoi «salotti», il suo mito del magico e con gli appassionati cultori del mistero, decretò il vero trionfo dei tarocchi e delle carte divinatorie a essi affini. Da allora è stata una crescente, appassionata gara tra artisti, cultori, dilettanti, professionisti; si assiste sempre più al moltiplicarsi dei mazzi, all'invasione dei negozi specializzati, alla proliferazione di studi professionali e trasmissioni televisive sull'argomento.
Segno, questo, che nonostante l'arrivismo e la fretta, gli hamburger trangugiati in piedi e la caduta dei valori, crediamo ancora nell'Imperatore e nella Papessa, nel Diavolo e nella Giustizia e ancora, come e più di settecento, settemila o settantamila anni fa, abbiamo bisogno di sognare, sperare, sopravvivere.