Interviste e rassegna stampa
Lista delle interviste e degli articoli di stampa relativi all'artista Gentile Polo
a cura del Dott. Valtero Curzi Filosofo
VC: Sei un artista che ha vissuto una carriera professionale di artigiano. Come e in quale maniera questo percorso della vita ha lasciato il suo segno nella tua arte?
Appena tornato dalla naja il primo pensiero è stato quello di diplomarmi all’Istituto d’arte per la decorazione pittorica, della zona in cui abito … Mai avrei pensato che avrei poi intrapreso la strada dell’artigianato, proseguendo così di fatto, il lavoro che era stato di mio padre. E’ attraverso di Lui, infatti, che io ho avuto l’occasione di apprendere i primi rudimenti di questa attività. Questo mi ha fatto innamorare di questo mondo, così particolare Era “normale” infatti, a casa mia, vedere come si preparavano e si utilizzavano vari tipi di resine e pigmenti sia organici che inorganici come si preparavano stampi oppure matrici, o che so spolveri piuttosto che malte o si predisponevano colle scaldate a bagnomaria per realizzare materiali che rispondevano allo scopo e via dicendo. Di fatto, quando si aveva il bisogno di risolvere qualche problema che man mano si presentava, si preparava la mistura che si riteneva più idonea. Il tempo dava la sua risposta, positiva o negativa che fosse. E’ così che fui, fin da ragazzo, introdotto in questo campo e compresi da subito che la cosa mi piaceva Un poco alla volta mi si sviluppò una conoscenza empirica, fatta di tanta semplicità, cosa che non ho più dimenticato e che è stata determinante per l’osservazione di tutto il resto. Ho capito da subito che era nella semplicità che si trovava la risposta che io mi sono prefissato di andare in seguito a cercare.
VC: In occasioni di incontri dialogando hai posto in evidenza come il colore per te non è solamente un segno o determinazione , ma nella tua professione hai materialmente “costruito” o prodotto il colore o materiale cromatico. Il colore in questa dimensione assume un connotato diverso?
Si. Credo di sì. Già durante la mia attività artigianale mi è capitato di dover sopperire alla mancanza di materiali idonei con materiali da me realizzati. Come ho detto prima, questo per me è stato un gran banco di prova e mi ha arricchito notevolmente. Quando capitava, il lavoro diventava un po’ più “mio” non so come dire esattamente ma lo sentivo sicuramente di più ogni pensiero, visto col senno di poi, ha potuto essere più libero indirizzato a quello che voglio ottenere e sento (per lo meno lo spero) che lo sarà sempre di più, anche quando mi avvalgo di materiali già esistenti, perché non mi pongo più di fronte al dubbio a cosa questo servisse, ma in come eventualmente sfruttarne meglio le caratteristiche sapendomi eventualmente “arrangiare” se mai ne avessi bisogno “Capire” la materia ha anche questo tipo di sfaccettatura. La posso comprendere, in quanto so anche realizzarla all’occorrenza. E non è più in questo senso un limite ma rimane propositiva dal primo momento che mi approccio ad essa, fino alla fine. Perché l’approccio è più direttamente voluto.
VC: Nelle tue opere usi solamente 3 colori, e con questi definisci tutto il reale rappresentato. Dipingi per definire l’essenziale nel segno, oppure la gamma dei colori non sono altro che sfumature della stessa matrice iniziale?
E’ una domanda che spesso mi sono posto. Si può descrivere in questo senso la realtà come fosse una realtà assoluta? E cosa la compone? Penso che ad ogni uomo è dato (forse) la possibilità di poter descrive la realtà soggettiva non certo quella oggettiva in quanto essa credo che viva di sé. Così l’arte, L’oggetto od il soggetto che sia (se se lo porta dentro) ha di per sé “un sentimento artistico” L’artista lo deve solo mettere in evidenza attraverso la sua sensibilità perché già esiste come opera d’arte. L’artista si confronta con ciò che lo circonda ,ne subisce gli influssi e si lascia guidare fino alla realizzazione finale della matrice che servirà da proposito a quello che seguirà. Quello che rappresento fisicamente è una immagine che arriva spesso dalla nostra educazione e sta nella nostra mente. La realizzazione avviene attraverso la materia che usiamo allo scopo. I tratti che contengono il colore. Il disegno dell’uomo, il prato, la pigna o chissà quale soggetto, od oggetto, (oramai poco importante) sono elementi che abbiamo conosciuto così attraverso la nostra educazione ci ha istruiti a riconoscere e che io rappresento spesso in senso metaforico all’interno del mio lavoro. Col colore poi rappresento un mio mondo di riflessi emotivi. Sono in effetti tre (i primari) a loro volta vivono,-sormontandosi uno sopra l’altro- di velatura in velatura, la loro vita in piena autonomia per la quale sono a disposizione. Sono tre le tinte, come si sa, che in questo caso vengono supportate dalla texture in bianco e nero, scavata a fresco nella materia. Esse sono il più essenziale possibile ed hanno direzioni che prendono di volta in volta delle direzioni diverse. Le sfumature invece, che si creano stendendo il colore, mettono ancor più in risalto l’interpretazione che diamo all’immagine ed il movimento. Le tinte sono convenzionalmente un magenta, un cobalto ed un cromo per non creare troppe scale colore. In questo senso mi pare di ritornare un po’ all’origine. Immagini riconosciute dalla mia cultura ma descritte coloristicamente parlando dalle sensazioni emotive che mi hanno stimolato appena osservate.
VC: Il tuo segno cromatico o meglio il tocco di colore non è omogeneità cromatica ma quasi un “atomismo” che definisce il segno stesso. E’ un tuo sentire il reale questo rappresentare il reale?
Si. Spesso nel ricercare una situazione armoniosa mi rendo conto che dalla memoria si formano da soli dei tratti, spesso non voluti, ma di getto che ricalcano qualche volta l’andamento del segno grafico, qualche volta non dipende dallo stato d’animo. Il disegno/texture in qualche modo vorrebbe controllarlo, ma non è possibile in quel momento si racconta una storia nella storia da un punto di vista diverso, che in questo caso è “emozione”. Vorrei dire che diventa “reale due volte” la prima nella descrizione che affonda le sue radici nel disegno e la seconda fase che descrive la stessa immagine dal punto di viste delle proprie emozioni. Questo in effetti è la situazione che trovo singolare, dentro e fuori presente e memoria. L’immagine con la sua rigidità (sempre o spesso isolata) interpretata partendo dalla memoria e quindi rappresentazione psicologica che conferisce un movimento liberatorio.
VC: Nelle tue composizioni sento nella rappresentazione il definirsi di un “flusso” o compenetrazione di energia. La tua pittura vuol cogliere l’immobilismo o il divenire di ciò che rappresenta?
Indubbiamente sono rappresentati in realtà tutti e due. Come dicevo, la parte preparatoria della quale fa parte il disegno è spesso più statica e “isolata” per fare questo normalmente realizzo particolari di immagini, oppure realizzo con lo stesso metodo, fondi che non sono comunque “realistici” e sono evidenti, cioè di facile lettura. Il movimento è dato da segni che vanno in direzioni preordinate ma risultano sempre di minimo impatto (alla fine del lavoro). E’ col colore poi che il “movimento” assume una velocità tutta sua. E’ una ricerca cromatica tesa a realizzare il mio equilibrio psicologico (che varia da situazione in situazione). Queste due fasi insieme aumentano il senso del movimento e delle ricezione/interpretazione della luce. Lo spessore del fondo l’andamento dei segni di texture e la continua ricerca di questi equilibri non preordinati fanno sì che “ tutto” diventi un movimento appunto. Mi sono anche accorto che nonostante io potessi rifare le stesse mosse con il disegno e con il pennello 10/100 volte di seguito ne risulterebbe una immagine che rappresentativamente sarebbe abbastanza simile alla prima ma nella sostanza emozionale molto diversa, e per questo credo sia sempre “in divenire” ed una “compenetrazione“ perché la prima fase assume l’importanza di supporto e la seconda ne determina il vero movimento/luce e così diventano un tutt’uno poiché uno supporta l’altro in una costante di rispetto reciproco.
VC: Tu dipingi per determinare una tua emozionalità. Ma da cosa è attratta la tua sensibilità artistica?
In fondo il bisogno interiore che vorrei trasmettere è legato al mero aspetto morale che identifica nell’umanità il valore prioritario di ogni essere. Prima di ogni attività che siamo chiamati a fare esiste l’uomo (da prima delle attività). Sembra banale ma troppo spesso vediamo che l’operare è anche più importante dell’umanità stessa. Ecco il principio delle caste e delle storture alle quali anche inconsciamente siamo spesso partecipi in prima persona. Per molti essere artista è pensare di essersi elevati a chissà cosa, in realtà dovrebbe essere solo e per fortuna l’uomo che viene chiamato ad operare. L’essere capace di fare l’artista, per me, vuol dire scendere a cercare l’umanità per poi tentare si salire alla ricerca della bellezza ( Ad immagine e somiglianza a quello che definiamo..”divino”) che spesso perdiamo nell’atteggiarci i come pseudo divinità(se così si può esprimere) ed ognuno ha un suo compito morale che è dato dall’origine della propria natura (o talento) da proporre. Così penso si possano trasmettere valori. Nessuno è migliore a prescindere se non fa “cose migliori” ed un’artista in particolare è sempre alla ricerca di questa “bellezza” ed allora e solo in quel caso può essere proposta anche se questa parola è di natura molto soggettiva (appunto perché ha trovato da sola l’atteggiamento “artistico”). Un bravissimo pittore in un breve colloquio che ebbi con Lui mi disse: L’arte stà già nelle cose e sta all’artista ricercarla. Attraverso la sua sensibilità (questo presuppone anche il fatto che non sempre ci si riesce, ma la ricerca deve continuare). Ecco l’uomo. Riconosce anche i suoi limiti e gioisce quando la sua sensibilità lo porta a riconoscere la “bellezza” espressa in varie forme e quindi per quanto di buono riesce a proporre, quando si è accettato a priori.
VC: Tu associ l’arte all’impegno sociale. Può la pittura e l’opera d’arte rappresentare in un modo nuovo e culturalmente valido questo impegno?
Certamente sì. Di per sé l’arte credo sia impegno sociale. E’ passata attraverso varie fasi nei secoli scorsi dal documentativo, descrittivo, celebrativo, raffigurativo, seguendo la leziosità piuttosto che argomenti mirati e quant’altro si voglia dire potendo guardare dentro ed anche fuori del mondo del “pittore”. Lo possiamo esprimere a vari livelli di interesse, sicuramente rimane comunque una comunicazione che sta all’interno di un impegno sociale, ma rimane una eredità che abbiamo da gestire. Ne vale la vita di chi può servirsene nel presente e nel futuro. Non può essere fine a se stessa, in ogni caso, in quanto espressione del tempo che vive. Educazione all’ arte può essere quindi, sicuramente propedeutica per l’atteggiamento che dovremo assumere nel rispetto di ciò che ci circonda e stimolo alla riflessione. In fondo non è cambiato niente anche se tentano di imbrigliare il tutto all’interno di un mercato che riconduce sempre di più all’apparenza. E’ sicuramente un brutto periodo dove il valore etico (dal quale la nostra generazione era uscita ) basato sul rapporto umano e che pesava sull’uomo determinandolo in una positività (o negatività) e legata al suo modo specifico del fare è (sembra) stato soppiantato. IL valore “uomo”, sembra sparito, appunto, e sostituito dal valore “cose”. Ed è contraddittorio anche, in quanto a far procedere e lasciare spazio a questo tipo di visione è proprio la “nostra generazione” che per questo motivo porta una colossale responsabilità. Quindi, ritornare ad una semplicità di interpretazione, senza sovrastrutture diventa basilare e molte sono le domande che ogni individuo dovrebbe porsi nel tentativo, di recuperare qualcosa che sembra oramai perso.
VC: Sento in te una “filosofia di vita” che cerchi di portare avanti. Le tue opere sicuramente sono in quest’ottica. Come esplichi nell’arte il tuo discorso umano?
Rivedere da capo la nostra posizione (anche pittorica) e recuperare attraverso la semplicità del gesto diventa un atto dovuto, per ridare respiro ad un mondo interiore (ed esteriore) che in molte occasioni risulta irrespirabile. Ridurre ai minimi termini tratti, colori e recuperare discorsi tralasciati durante il corso della storia pittorica, nel tentativo di proporre nuove vie interpretative mi sembra doveroso, pur che sia, nel suo modo di essere gestito, semplice. Parole come poco, naturale, semplice, sono valori che dovrebbero ritornare in auge. Pur nel tentativo di proseguire il cammino, come mettersi a disposizione che è dono ed anche bisogno. Una volta capitava che ci si spendeva una vita per realizzare i propri sogni o le proprie aspirazioni però quello che si lasciava era un insegnamento (Vedi vite come la recente scomparsa della Haack) al quale molti prendevano spunto ed esempio. Questa velocità con la quale nulla è in realtà osservato, se non in modo superficiale, proiettati sempre al prossimo caso fa perdere il gusto di ciò che viviamo nel presente e la mia opinione al riguardo è che non dovrebbe essere così. Ho vissuto anni in “fabbrica” tra impegno di piazza e lavoro e studio e quando ho potuto ho realizzato una azienda di imbianchitura/decorazione per non star lontano dal colore e solo per non essere costretto a scendere a patti in un campo di esclusivisti. Dove spesso l’uomo manca affogato dall’artista. Non mi piace ancora oggi, ora sono in pensione però, ora faccio ancora il lavoro della pittura ma con spirito di chi, conscio della propria libertà di parlare (educatamente), ho capito che prima di tutto essa (l’arte) serve a me stesso, mi può ancora aiutare e salvarmi da una triste storia che in fondo potrebbe essere vuota e che invece ha colorato la mia sensibilità fino a goderne. Essere a disposizione di essa è il regalo più bello che avrei potuto chiedere nella mia, ancora ricercata, vita…
Sorgente: ** Intervista All’Artista ** Gentile Polo – Luglio 2013 | NabilaFluxus ®
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